Notizie
5 Aprile, 2022
L’ Associazione “Mimmo Càndito per un Giornalismo a testa alta”, in seguito alle vicende belliche in corso che hanno spezzato questo momento storico e costretto a partire per i fronti di guerra decine di colleghi e colleghe di nuova o provata esperienza, ritiene necessario e naturale che il lavoro da essi accumulato e diffuso diventi materia viva e palpitante per la seconda edizione del nostro Premio.
Il bando pubblicato su questo sito prevedeva il termine ultimo per l’invio dei lavori dei candidati il giorno 15 aprile 2022: ma tale data si scontra con l’incertezza sul presente e sul futuro degli eventi in corso, e renderebbe ora difficoltosa o impossibile la riflessione e la scelta del proprio materiale, a chi fra questi inviati volesse partecipare a questa nostra iniziativa, essendo essi impegnati in ben meno speculative imprese.
Riteniamo che in un premio come questo dedicato a un reporter di guerra noto per il suo rigore, tali colleghi non possano mancare. Abbiamo dunque deciso di procrastinare di un mese la data per la ricezione dei servizi e degli articoli o altro materiale previsto dal regolamento. Augurandoci prima di tutto che nel frattempo tacciano le armi, la data dell’invio viene spostata al 15 maggio 2022.
2 Aprile, 2022
da L’ “internazionale” – Pierre Haski, France Inter – 29 marzo 2022
Lo scorso dicembre Dmitrij Muratov, direttore del quotidiano russo Novaja Gazeta, ha ricevuto a Oslo il premio Nobel per la pace 2021, condiviso con la sua collega filippina Maria Ressa. Il 28 marzo, con la morte nel cuore, Muratov ha annunciato la sospensione della pubblicazione del suo giornale fino alla fine della guerra in Ucraina. Il giornalista aveva appena ricevuto un secondo avvertimento dalle autorità e ha preferito chiudere temporaneamente piuttosto che vedersi ritirare la licenza.
È una tragedia per la Russia, che perde la sua ultima fonte di informazioni indipendente in un momento in cui queste risorse, nella nebbia della guerra, sono ancora più importanti. Questo è l’obiettivo di Vladimir Putin: fare in modo che i 140 milioni di russi abbiano accesso a un’unica fonte di informazioni, la sua.
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31 Marzo, 2022
Da “Il Manifesto”, nella rubrica settimanale di Vincenzo Vita “Rimediamo”, 30-03-22
Lo scorso venerdì 25 marzo, presso la Fondazione Basso a Roma rappresentata da Franco Ippolito e Giovanni Giannoli, si è tenuto un incontro alla presenza del padre naturale di Assange – John Shipton – attivista del movimento per la pace e impegnato con sobria disperazione nella campagna per la salvezza del fondatore di WikiLeaks.
Con sentimenti molto sorvegliati, e tuttavia così trasparenti dentro il mesto sorriso, un genitore angosciato ha trovato la forza di parlare del matrimonio del figlio con la compagna e avvocata Stella Morris celebrato il 23 marzo, ma di cui non ci sono fotografie.
Un imputato speciale non ha neppure il diritto alla propria immagine. L’amore – però- vince sulla crudeltà, ha affermato con implicita evocazione delle poetiche di Cesare Zavattini o di Ken Loach.
La conferenza era organizzata insieme a MicroMega, Filosofia in movimento e Centro per la riforma dello stato. Si è trattato della tappa di un’azione avviatasi da tempo, per cercare di impedire l’estradizione del giornalista australiano detenuto nella prigione speciale di Belmarsh nel Regno Unito da tre anni, dopo la lunga permanenza nell’ambasciata dell’Ecuador di Londra.
Assange perse la libertà il 7 dicembre del 2010, quando cominciarono a piovere su di lui accuse di vario tipo, in particolare quella di spionaggio. In base a quest’ultima accusa, in caso di processo americano, si prospettano 175 anni di incarcerazione. La morte, dunque, come ha ricordato il padre, che ha evocato pure le precarie condizioni fisiche di oggi.
L’atto giudiziario più recente è stato il diniego da parte della Corte suprema britannica a presentare appello contro la decisione con cui l’Alta corte aveva ribaltato il verdetto di primo grado favorevole ad Assange proprio per motivi di salute. Insomma, sembrava che il viaggio d’oltre oceano si allontanasse. A questo punto, la decisione conclusiva spetta (curioso il sistema inglese, che pure si vorrebbe patria dello stato di diritto) alla ministra conservatrice degli interni Priti Patel.
La novità scaturita dal convegno è stato l’annuncio della preparazione di un ulteriore ricorso verso l’eventuale decisione sfavorevole dell’esponente del governo di Boris Johnson.
Ne hanno parlato Sara Chessa, giornalista che sta seguendo la vicenda per Independent Australia e componente della Ong Blueprint for Free Speech. E Stefania Maurizi, cui si deve un enorme impegno essenziale per illuminare un caso che il mondo dell’informazione, compreso quello democratico, ha colpevolmente occultato. Per fortuna, è in corso di preparazione la versione in lingua inglese del bellissimo libro Il potere segreto (Chiarelettere, 2021), in cui l’intera storia è descritta con puntigliosa passione.
Sulla stessa lunghezza d’onda sono stati gli interventi della caporedattrice di MicroMega Cinzia Sciuto, di Francesco Masala dell’Osservatorio Repressione, del magistrato Enrico Zucca, di Antonio Cecere per gli organizzatori.
Lo stesso Daniel Ellsberg, l’analista che rese possibili i Pentagon Papers pubblicati grazie alla tutela del primo emendamento della Costituzione di Washington (ora non riconosciuta a causa del ricorso strumentale all’Espionage Act del 1917), ha duramente protestato. Che fa Joe Biden?
Siamo di fronte ad un precedente terribile. Se non ci si occupa di tale insidia, il pericolo riguarderà presto la stessa libertà di informazione.
Il grido composto di John Shipton è stato raccolto in una sede così autorevole, intitolato non per caso a Lelio Basso, infaticabile difensore dei diritti. Il comitato italiano che segue il processo si allargherà, con il contributo del senatore Gianni Marilotti, che sta coordinando il comitato parlamentare per il monitoraggio del caso Assange. Il presidente della commissione per gli archivi e la biblioteca del senato aveva organizzato utilissimi confronti insieme al premio intitolato al giornalista scomparso Mimmo Càndito.
L’informazione omologata sulla guerra attuale ci fa capire quanto sia cruciale WikiLeaks. Le verità occultate vanno portate in superficie. Le buone pratiche di Assange non vanno dimenticate.
7 Marzo, 2022
Dal “Il Manifesto”– Roberto Zanini, 06.03.2022
I media stranieri chiudono bottega, via Cnn e Bbc
La nuova “Legge sulla verità” di Putin Era notte fonda a Mosca quando un portavoce del network di Atlanta ha comunicato che “la Cnn interromperà le trasmissioni in Russia mentre continuiamo a valutare la situazione e i nostri prossimi passi avanti”.
Se ne va anche l’americana Cnn, chiude gli uffici Bloomberg, sbaracca la Efe spagnola… La nuova legge sulla verità in tempo di guerra, firmata da Putin nella notte di venerdì dopo un rapido e unanime passaggio alla Duma e il senato, ha sparso cadaveri mediatici in tutte le Russie. E non poteva essere altrimenti, con una pena “fino a 15 anni di prigione” e con i nebulosi motivi per cui tale pena può essere inflitta.
Se la britannica Bbc è stato il primo big mediatico occidentale ad ammainare la sua bandiera, ieri è toccato alla regina delle reti all-news, quella Cnn che da trent’anni (dalla prima guerra del Golfo) è la vera, grande risorsa globale per le notizie d’emergenza. Era notte fonda a Mosca quando un portavoce del network di Atlanta ha comunicato che “la Cnn interromperà le trasmissioni in Russia mentre continuiamo a valutare la situazione e i nostri prossimi passi avanti”.
Il telegiornale del pianeta se ne va con un ultimo botto, riferendo che quattro bombardieri americani B-52 hanno sorvolato il confine est della Nato “partendo dall’aeroporto Fairford della Royal air force britannica (…) in un’esercitazione con l’aeronautica della Germania
e della Romania” – ieri erano volati colpi intorno a una centrale nucleare, oggi ci mancavano giusto le esercitazioni di bombardieri pesanti lungo un confine in guerra…
Una manciata di minuti dopo la Cnn e un altro big americano faceva la stessa cosa: via dalla Russia anche Bloomberg, la regina indiscussa delle news economiche – da sola vale un terzo dell’intero fatturato mondiale delle notizie sui soldi – avviando così una catena
di smobilitazioni che fa tornare indietro la Russia ai tempi sinistri dell’Unione sovietica – ma con efficienti istituzioni che sembrano replicare quelle del lato opposto della Storia: il Minculpop, l’Ovra…
Complici i fusi orari, sono gli americani i primi a chiudere bottega. A Cnn e Bloomberg si sono immediatamente affiancate Abc e Cbs. La Cbs è la rete che ha portato per la prima volta la guerra nel salotto di casa, era il Vietnam e si lavorava ancora con pellicole da girare, sviluppare, montare e infine trasmettere. La guerra in Ucraina è il primo conflitto documentato dai telefonini ma la Cbs se lo vedrà in salotto – quanto meno la parte di conflitto che avviene a Mosca e nei suoi sterminati dintorni.
E dopo la partenza degli americani, i media in fuga cominciano a tracimare, l’Occidente mediatico diventa una specie di profugo alla rovescia, costretto a marciare verso il paese aggredito perché scacciato da quello aggressore. Se ne vanno le reti pubbliche della Germania in pieno e clamoroso riarmo, come non era mai accaduto dai tempi della Seconda guerra mondiale: Ard e Zdf annunciano un “sospendiamo le trasmissioni” uguale a all’annuncio della radio Deutsche Welle il giorno prima. Chiudono gli uffici russi anche l’agenzia Efe e la radio- tv Rtve, la principale agenzia di stampa e il principale gruppo televisivo di Spagna (la tf è per metà di proprietà statale).
Il mercato di lingua spagnola è così importante che persino i media del Cremlino,
i citatissimi Rt e Sputnik, ofrono notiziari nella lingua di Cervantes. Se ne va anche la Rai italiana, fa le valigie l’apprezzatissimo e informato Marc Innaro – della coda di fatti e polemiche si parla in un altro
articolo in questa pagina. Se ne va l’inviato del Tg5, richiama i suoi inviati anche la principale agenzia italiana, l’Ansa. Chiude anche Cbc- Radio, abbandona Mosca anche il Canada.
Non ancora del tutto bloccato, ma pesantemente strangolato l’accesso a Facebook e Twitter, altro materiale che magari non produce notizie ma le diffonde enormemente. Esistono social media alternativi made in Russia, e sono anche piuttosto popolari, ma i 70 milioni di utenti russi che Facebook dichiara ufficialmente sono un blocco poderoso.
Il tutto mentre il governo dell’Ucraina si toglie quanto meno una soddisfazione, e su Twitter celebra a modo suo l’anniversario della morte di Stalin: “Happy Stalin’s Death Day!” dice il testo, corredato dalla foto in bianco e nero di una donna che offre un piatto di bortsch – la tipica zuppa nazionale – per festeggiare il ricordo di quel 5 marzo del 1953.
Quelli che non hanno dove andare sono i media russi. Il conta-arresti del sito Ovd-Info ieri sera era salito a 8283, la coraggiosa Novaya Gazeta titola “Confusione nella testa e dolore nel cuore” con la foto di una bambina davanti a murales con un carro armato. Rispetta la nuova legge anti-giornalisti: niente parole proibite come “guerra”, niente foto di bombardamenti o vittime (è un dipinto murale), niente notizie sediziose o disfattiste (l’astuto sommario dice: “Come spiegare la realtà agli adolescenti”). E’ un samizdat 2.0 – e chi perseguiva i samizdat originali, quelle opere proibite scritte a mano e passate di nascosto – alla fine ha perso.
3 Marzo, 2022
Open Democracy è un blog impegnato per la difesa e lo sviluppo della democrazia in Europa
In openDemocracy abbiamo tagliato le bugie e il senso della guerra. La scorsa settimana abbiamo pubblicato sul campo le voci di ucraini e russi che altrimenti non sarebbero stati ascoltati. Fondamentalmente, le loro storie vengono lette da migliaia di persone nella regione stessa.
Ma vogliamo aiutare anche altri giornalisti. Ci sono giornalisti in Ucraina che stanno rischiando la vita per raccontare al mondo la brutale invasione russa del loro paese.
Siamo solidali con loro. Per questo motivo questa settimana daremo i soldi che di solito riceviamo da voi, i nostri lettori, per sostenere i media e i giornalisti ucraini, compresi quelli che hanno perso la casa. OpenDemocracy abbinerà il fondo di ogni donazione ricevuta prima di lunedì 7 marzo fino a £ 6.000 – l’importo che generalmente riceviamo dai lettori ogni settimana – per aiutare i giornalisti in prima linea nella guerra. Ciò significa che raddoppieremo le donazioni dei lettori fino a un totale di £ 6.000.
Questo è un grosso problema. Non siamo un’organizzazione ricca. Non pubblichiamo pubblicità sul nostro sito, non abbiamo un paywall né abbiamo il sostegno di grandi imprese. Ma sappiamo quanto sia importante dire la verità al potere, quindi siamo felici di farlo.
Il denaro raccolto da questo appello urgente sarà suddiviso tra:
- L’Institute of Mass Information, che aiuta a fornire ai giornalisti giubbotti antiproiettile, caschi e altre attrezzature. Aiuta anche con la loro evacuazione, se necessario.
- Filiali locali dell’emittente pubblica ucraina Suspilne nell’Ucraina orientale. Anche alcuni giornalisti ucraini con cui abbiamo lavorato in precedenza, che non stiamo nominando per motivi di sicurezza.
Per favore aiuto. Dobbiamo muoverci velocemente. La situazione si sta sviluppando rapidamente. E, francamente, le vite sono a rischio.
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Se decidi di impostare una donazione ricorrente, il tuo denaro aiuterà a sostenere la nostra copertura spaziale russa, ucraina e post-sovietica, incluso il nostro esclusivo servizio in lingua russa, che è stato letto da centinaia di migliaia di persone nella regione nell’ultima settimana
Grazie per la vostra generosità.
Pietro Geoghegan, Direttore di Open Democracy
www.opendemocracy.net