23 Giugno, 2022
di Vincenzo Vita, dal Manifesto del 22 giugno 2022
Si è tenuta ieri presso la federazione nazionale della stampa una importante conferenza, con la presenza in collegamento da Buenos Aires del premio Nobel per la pace Adolfo Pérez Esquivel, promotore insieme a alla Madre de Plaza de Mayo Nora Cortiñas di un appello contro l’estradizione negli Stati Uniti di Julian Assange. (vedi il manifesto dello scorso 3 maggio).
Il pacifista argentino, uno dei padri della resistenza contro la dittatura militare, ha chiarito il rischio che corre il fondatore di WikiLeaks: se si compie il misfatto giudiziario in corso presso il tribunale speciale di Belmarsh nel Regno Unito, l’arrivo in un penitenziario statunitense segnerebbe la fine.
La questione del giornalista australiano è, ormai, sulla linea di confine tra la vita e la morte. Un’eventuale condanna a 175 anni di carcere sarebbe una condanna capitale.
Ma con Assange morirebbe ciò che resta della libertà di informazione e del diritto di cronaca. Parliamo ora di Assange, ma la mannaia rischia di abbattersi anche su collaboratrici e collaboratori della coraggiosa iniziativa editoriale. E la cascata repressiva ricadrà su un intero mondo di divulgatori delle verità sotterrate dal potere segreto di cui ha scritto ampiamente Stefania Maurizi, protagonista del dibattito. Ricordiamo qualche dato inquietante: dal 1993 1400 cronisti sono stati uccisi; 55 solo quest’anno.
Insomma, l’informazione sta sempre più stretta alle logiche dell’autoritarismo strisciante in corso. Pensavamo a Russia, Cina o Iran, per citare luoghi di repressione nota del dissenso. Il caso Assange svela la realtà dell’occidente, ricco di leggi e carte costituzionali apparentemente democratiche, contraddette da una pratica coercitiva sempre più netta.
Pérez Esquivel si salvò dall’ormai certo volo omicida dall’aereo nell’oceano all’ultimo minuto. Ciò avvenne grazie ad una straordinaria campagna di opinione, che costrinse i gerarchi a ripensarci in limine dopo aver avviato la spietata procedura.
Esquivel ha proposto di replicare – l’ha detto pure con decisione la sua collaboratrice Grazia Tuzi- quella mobilitazione delle coscienze.
Hanno raccolto l’invito il presidente della FNSI Giuseppe Giulietti con il segretario Raffaele Lorusso, l’ordine nazionale dei giornalisti con il suo responsabile Carlo Bartoli e Daniele Macheda dello specifico sindacato della Rai. Insomma, le istituzioni dell’informazione italiana, facendo eco alle prese di posizione dell’organizzazione mondiale degli stessi giornalisti e di diverse associazioni nazionali, sono in campo con nettezza. Chissà se, finalmente, le principali testate della carta stampata o i canali radiotelevisivi decideranno di battere un colpo.
Dopo la decisione della ministra degli interni dell’UK Priti Patel, qualche segno di attenzione vi è stato. Ad esempio, ha lasciato capire che prenderà qualche iniziativa a tutela del suo connazionale il premier australiano Anthony Albanese, mentre i parlamentari dell’assemblea del consiglio d’Europa Andrej Hunko, Gianni Marilotti e Roberto Rampi hanno annunciato in diretta una mozione da depositare durante i lavori di Strasburgo.
Sono intervenuti con estrema puntualità l’esponente di Amnesty International Tina Marinari; nonché gli ex magistrati Franco Ippolito ed Armando Spataro, assai critici nei riguardi di un percorso giudiziario che appare un atto politico piuttosto che un effettivo approfondimento di merito. Ippolito ha evocato la corte penale internazionale e Spataro ha rammentato le vicende che seguì da vicino riguardanti i servizi segreti d’oltre oceano. Tra le tante cose dette da personalità eminenti del diritto.
Il mondo della cultura si è espresso con la voce del rappresentante dell’associazione degli autori Giuseppe Gaudino e con Laura Morante interessatissima a fornire un attivo contributo alla campagna per la liberazione di Assange. In tal senso va la scelta dell’archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico di cooptare simbolicamente tra i garanti della fondazione il giornalista sotto accusa.
Numerose le attestazioni arrivate o direttamente dalla sala o attraverso messaggi: l’associazione per il rinnovamento della sinistra con Aldo Tortorella e Franco Argada; l’ANPI con Gianfranco Pagliarulo; l’ARCI con Carlo Testini; Elena Marzano della trasmissione Presa diretta; Renato Parascandolo di Articolo21. Il nostro giornale ha espresso la volontà di svolgere un ruolo significativo nell’azione che si dispiegherà già nei prossimi giorni, per supportare il ricorso contro la firma dell’esponente del governo di Boris Johnson e quello delicatissimo rivolto alla corte europea dei diritti umani, dove si giocherà l’ultimo atto.
Stefania Maurizi ha ricapitolato, in conclusione, le tappe della orribile vicenda, dove i cattivi stanno vincendo. Per ora, almeno.
28 Maggio, 2022
L’Associazione “Premio Mimmo Càndito per un giornalismo a testa alta” visto il perdurare della guerra in corso, ha valutato di non poter non tenerne conto e in occasione del dibattito “L’informazione in tempo di guerra” tenutosi al Salone del Libro il 20 maggio scorso, ha annunciato le seguenti modifiche:
- per la sezione Opera d’inchiesta si potrà concorrere inviando uno o più testi pubblicati o andati in onda tra il 15 gennaio 2021 e il 1 settembre 2022
- Opere di inchiesta e Progetti di inchiesta dovranno essere consegnati entro il 1 settembre 2022
L’Associazione comunica i nomi dei giurati che valuteranno i lavori finalisti e decreteranno i vincitori della II edizione del Premio Mimmo Càndito:
Simona Carnino
Paolo Griseri
Marina Forti
Vincenzo Vita
21 Aprile, 2022
(Wikileaks. Confermata l’estradizione dell’attivista in un’udienza di appena 7 minuti della Westminster Magistrates’ Court di Londra)
di Vincenzo Vita, dal Manifesto del 21 aprile 22
In un’udienza di appena sette minuti, il giudice della Westminster Magistrates’ Court di Londra Paul Goldspring ha ieri mattina emesso un verdetto molto ruvido: la decisione sull’estradizione negli Stati uniti del giornalista fondatore di WikiLeaks Julian Assange è rimessa al ministro. Così ha detto. Il ministro in questione, rectius la ministra, è la titolare degli interni Priti Patel (quella appena tornata dal Ruanda per preparare l’arrivo degli immigrati respinti dal Regno unito). Entro 28 giorni dovrà esprimere o meno il consenso. Il timore è che l’esponente ultrà del governo conservatore non batterà ciglia e firmerà. Il legale Mark Summers e la stessa consorte avvocata Stella Morris hanno annunciato un ulteriore ricorso. Assange ha potuto assistere al triste procedimento, ma solo in videoconferenza dal carcere speciale di Belmarsh, chiamato la Guantanamo inglese. Non è stato un giorno felice.
Il temuto input dei togati sferra un ulteriore colpo al diritto di cronaca. Infatti, per chi eventualmente non ne fosse consapevole, attorno ad Assange si sta giocando una partita cinica e terribile. Di valore generale. Il giornalista australiano è il capro espiatorio di una vera e propria svolta repressiva. L’aria serena dell’ovest, ovviamente, non ha i tratti divenuti permanenti negli stati autoritari. In Russia o in Arabia Saudita o in Egitto, per fare qualche esempio, con il dissenso si rischia di venire uccisi. Ma, contrariamente a ciò che si usa ripetere nei talk (anche l’attenta Lilli Gruber ci è caduta), pure nelle blasonate democrazie occidentali le cose non vanno granché.
La consuetudine coercitiva nella normalità è rappresentata dai bavagli, dalle censure, dalle querele temerarie e dagli attacchi a chi osa un po’. La guerra, poi, ha tra i suoi orrendi effetti collaterali l’imposizione di una sorta di pensiero unico, insieme all’oscena esibizione di fake. La verità è un’eccezione e non è considerata utile. Il potere ha bisogno di segreti e di menzogne.
Ecco perché Assange va punito. A dispetto dei santi, di appelli autorevoli, di discrete iniziative diplomatiche per l’intanto senza successo, i meccanismi giudiziari stanno definitivamente condannando a morte colui che ha avuto il coraggio di alzare il velo sui crimini bellici dell’Iraq e dell’Afghanistan o sui linguaggi coperti delle cancellerie.
Ecco, Assange ha voltato lo sguardo sulle trame invisibili e ha urlato che il re è nudo. Cosa riusciremmo a sapere della guerra voluta dalla Russia invadendo l’Ucraina se WikiLeaks ci rendesse scampoli di realtà: senza guerriglie semiologiche, né manipolazioni continue.
Il quadro si appaleserebbe senza schermature.
Che si tratti di condanna a morte sotto altro nome è evidente: l’eventuale (purtroppo probabile) condanna che attende Assange al di là dell’oceano tocca un arco di tempo di 175 anni. Due vite.
Eppure, nel 2019 il relatore speciale delle Nazioni unite sulla tortura Nils Melzer aveva parlato di tortura psicologica, vista la lunga detenzione (iniziata di fatto nel 2010) di una persona cui non è mai stato rivolto un vero addebito specifico. Anzi, proprio per aggirare ogni ostacolo, l’imputazione ha tirato in ballo una legge sullo spionaggio nel 1917. Peccato che le notizie divulgate da WikiLeaks siano state utilizzate da rinomate testate della scena internazionale, senza conseguenze penali o amministrative. Bisognava, però, creare il mostro, secondo le peggiori politiche criminali. Non sono colpevoli i guerrafondai o gli allora capi di stato, bensì un giornalista dedito con enorme passione al suo mestiere. Mestiere dimenticato da tante e tanti che pure potrebbero e dovrebbero.
Già un altro mostro fu creato, anzi una mostra, l’analista dell’intelligence Chelsea Manning che fornì i materiali scottanti. L’ex presidente Obama la graziò nel 2017, anche se in seguito tornò in carcere per aver rifiutato di testimoniare. Dal marzo del 2020, però, è libera.
E l’attuale presidente Biden sarà mai sensibile all’argomento? A fronte di quanto accade nella guerra in corso c’è poco da sperare. Ogni tanto, però, il destino ci sorprende e lo spirito santo laico magari provvede.
La petizioni per Assange le potete trovare a questi link:
https://rsf.org/en/free-assange-petition-april-2022
https://www.amnesty.it/appelli/annullare-le-accuse-contro-julian-assange/