con Massimo Giannini, Marco Revelli, Gian Giacomo Migone e i giurati Paolo Griseri, Marina Forti, Simona Carnino e Vincenzo Vita, saluti di Silvia Garbarino e Stefano Tallia, modera Marinella Venegoni
Proclamazione dei vincitori del premio annuale destinato a un giornalismo di inchiesta e di analisi in lingua italiana nel campo della politica e della società internazionale, nato nel 2018 a 9 mesi dalla scomparsa di Mimmo Cándito.
Dopo 77 anni, nel 2022 il concetto di guerra è tornato a tutti familiare: ma per gente come Mimmo, tale dimensione dell’orrore umano è stata a lungo una realtà da vivere e raccontare con sprezzo del pericolo. Dopo il premio ai due designati – per l’Opera e per il Progetto – un pugno di grandi esperti di Giornalismo e Storia discuteranno di come si può tornare ai pericoli, alla fame e alla paura, e di come i reporter del III Millennio vivono e narrano una sfida antistorica e inattesa.
“Pubblicare non è un crimine” dicono New York Times, Guardian, Le Monde e Der Spiegel
Il giornalismo non è un crimine, il governo degli Stati Uniti deve porre fine alla causa contro Julian Assange per aver pubblicato segreti di stato.
Dodici anni fa, il 28 novembre 2010, i nostri cinque giornali internazionali – New York Times, Guardian, Le Monde, El País e Der Spiegel – hanno pubblicato una serie di rivelazioni in collaborazione con WikiLeaks che hanno fatto notizia in tutto il mondo.
Il “Cablegate”, una serie di 251.000 messaggi riservati del dipartimento di stato degli Stati Uniti, ha rivelato corruzione, scandali diplomatici e affari di spionaggio su scala internazionale.
Nelle parole del New York Times, i documenti raccontavano “la storia senza veli di come il governo prende le sue decisioni più importanti, le decisioni che costano di più al paese in vite e in denaro”. Anche oggi, nel 2022, giornalisti e storici continuano a pubblicare nuove rivelazioni, utilizzando il tesoro unico di quei documenti.
Per Julian Assange, editore di WikLeaks, la pubblicazione del “Cablegate” e diverse altre fughe di notizie correlate ha avuto le conseguenze più gravi.
Il 12 aprile 2019, Assange è stato arrestato a Londra su un mandato di arresto degli Stati Uniti ed è ora detenuto da tre anni e mezzo in una prigione britannica ad alta sicurezza di solito utilizzata per i terroristi e i membri della criminalità organizzata.
Affronta l’estradizione negli Stati Uniti e una possibile condanna fino a 175 anni in una prigione americana di massima sicurezza.
Questo gruppo di giornalisti ed editori, che hanno tutti lavorato con Assange, nel 2011 ha sentito la necessità di criticare pubblicamente la sua condotta, quando sono state rilasciate copie integrali non redatte dei messaggi, e alcuni di noi sono preoccupati per le accuse sulla sua presunta complicità nel tentativo di intrusione informatica in un database classificato.
Oggi però ci uniamo tutti insieme per esprimere le nostre gravi preoccupazioni per il continuo perseguimento di Julian Assange per aver ottenuto e pubblicato materiali classificati.
L’amministrazione Obama-Biden, in carica durante la pubblicazione di WikiLeaks nel 2010, si è astenuta dall’incriminare Assange, spiegando che avrebbero dovuto incriminare anche i giornalisti dei principali organi di stampa.
Quella loro posizione ha difeso la libertà di stampa, nonostante le sue conseguenze scomode.
Sotto Donald Trump, tuttavia, la posizione del governo è cambiata. Il Dipartimento della Giustizia si è basato su una vecchia legge, l’Espionage Act del 1917 (una norma pensata per perseguire potenziali spie durante la prima guerra mondiale), che non è mai stata utilizzata per perseguire un editore o un’emittente.
Questa accusa stabilisce un pericoloso precedente e minaccia di minare il primo emendamento della Costituzione americana e la libertà di stampa.
Ottenere e divulgare informazioni sensibili quando è necessario nell’interesse pubblico è una parte fondamentale del lavoro quotidiano dei giornalisti.
Se questo lavoro viene criminalizzato, il nostro discorso pubblico e le nostre democrazie sono resi significativamente più deboli.
Dodici anni dopo la pubblicazione dei “Cablegate”, è tempo che il governo degli Stati Uniti ponga fine alla causa contro Julian Assange per aver pubblicato segreti di stato.
Pubblicare non è un crimine.
Gli editori e la redazione di
New York Times Guardian Le Monde Der Spiegel El País
Versione originale pubblicata dal Guardian e tradotta in italiano
La presa di posizione di Lula
Comunicato Ansa
(ANSA) – BUENOS AIRES, 29 NOV – Il presidente eletto del Brasile, Luiz Inacio Lula da Silva ha incontrato ieri il caporedattore della piattaforma WikiLeaks, Kristinn Hrafnsson, chiedendo che Julian Assange “sia liberato dalla sua ingiusta carcerazione.
Via Twitter Lula, che si insedierà alla presidenza del Brasile l’1 gennaio prossimo, ha reso noto di essersi incontrato con “Hrafnsson, e con il giornalista Joseph Farrell, che mi hanno informato sulla situazione sanitaria e sulla lotta per la libertà di Julian Assange”.
“Ho chiesto loro – ha sottolineato – di inviare (ad Assange) la mia solidarietà”. Auspico, ha concluso, che “Assange sia liberato dalla sua ingiusta prigionia”. La presa di posizione di Lula avviene all’indomani della diffusione da parte di cinque quotidiani (New York Times, Guardian, Le Monde, Der Spiegel e El Pais) di una lettera aperta in cui si chiede agli Stati Uniti di far cadere le accuse contro Assange in nome della libertà di stampa. (ANSA).
66 anni, torinese, ha seguito le cronache della città fin dagli anni 80. Per 15 anni è stato corrispondente del Manifesto. Nel 2000 è passato a Repubblica. Come inviato ha seguito in particolare le vicende della Fiat nel periodo di Marchionne. Nel 2020 è diventato vicedirettore della Stampa occupandosi in particolare delle cronache torinesi e delle province. Oggi collabora con La Stampa, Repubblica e Huffington Post.
Per Editori Riuniti, con Massimo Novelli e Marco Travaglio, ha scritto Il processo. Storia segreta dell’inchiesta Fiat tra guerre, tangenti e fondi neri (1997). Con Sergio Chiamparino ha pubblicato per Einaudi La sfida. Oltre il Pd per tornare a vincere. Anche al Nord (Stile libero Extra, 2010). Nel 2012, sempre per Einaudi, ha pubblicato La Fiat di Marchionne. Da Torino a Detroit.
Marina Forti
Giornalista e scrittrice. Ha lavorato per trent’anni a il manifesto, dove è stata caposervizio, caporedattore e inviata. Ha ricevuto il Premiolino (1999) per la sua rubrica Terraterra e il premio Elsa Morante per la comunicazione (2004) per il libro La signora di Narmada. Le lotte degli sfollati ambientali nel Sud del mondo (Feltrinelli, 2004). Ha pubblicato Il cuore di tenebra dell’India.Inferno sotto il miracolo (Bruno Mondadori, 2012). Il suo ultimo libro è Malaterra. Come hanno avvelenato l’Italia (Laterza, 2018). Collabora con Internazionale, Altreconomia, e altre testate. È vicedirettrice della Scuola di giornalismo della Fondazione Lisli e Lelio Basso.
Vincenzo Vita
(Salerno, 1952, cresciuto a Milano e da anni residente a Roma), giornalista, è Presidente dall’aprile 2015 dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, nonché dell’Associazione per il rinnovamento della sinistra.
Deputato con l’Ulivo nel 1996, è stato Sottosegretario del Ministero delle Comunicazioni fino al 2001. Dal 2003 al 2008 ricoprì la carica di Assessore alla cultura della Provincia di Roma. Dal 2002 al 2003 componente del consiglio di amministrazione del “Palaexpo” di Roma. Da 2002 al 2007 ha tenuto corsi come docente a contratto presso l’Università di Sassari sulle teorie dei media.
Senatore del Pd nel 2008, è stato Vicepresidente della Commissione istruzione. Ha pubblicato, tra l’altro: “Dopo i mass media” (Ed. Associate, 1993), “L’inganno multimediale” (Meltemi, 1998), insieme a Latini, “Il ’68 –un evento, tanti eventi, una generazione” (Franco Angeli, 2008), “Rosso digitale. L’algoritmo di Marx” (manifestolibri, 2019), “La disfida della Par Condicio. 20 anni dopo”( The Skill, 2020, libro collettivo a cura di Luca Romano). Ha scritto numerosi articoli e saggi sui temi della comunicazione, collaborando –tra l’altro- alla stesura di diverse leggi in materia. Fa parte dell’International Institute of Communication. Collabora con il quotidiano “il manifesto”, con i quotidiani online “Blitzquotidiano” e Jobsnews”, con la rivista “Critica marxista” e con il sito di “Articolo21” della cui associazione è Garante.
Simona Carnino
Giornalista freelance e documentarista specializzata in diritti umani, tematiche migratorie e America Latina, dove ha vissuto e investigato sul campo l’impatto dei conflitti politici, economici e ambientali sulle popolazioni locali e indigene.
Tra i suoi documentari, “Aguas de Oro”, la serie per il web “Passaggi – Quando gli Stranieri fanno integrazione” e “The Power of Passport”.
Ha pubblicato i suoi lavori su testate nazionali e internazionali, tra le quali Internazionale, Sky, Repubblica, El País, Lifegate, Altraeconomica.
Nel 2020 ha vinto il premio Mimmo Cándito per un Giornalismo a Testa Alta con il reportage Viaggiare Bagnati – L’epopea dei migranti centroamericani all’epoca di Trump, Missioni Consolata, luglio 2019.
La settimana scorsa, Il Manifesto ha pubblicato la cronaca della commemorazione della strage di Sabra e Shatila, alle porte dell’abitato di quest’ultima. Furono due giornalisti italiani, Stefano Chiarini e Maurizio Musolino, a volere fortemente negli anni seguenti un memoriale che non si sa se sarà destinato a rimanere, per ricordare le vittime del massacro (“forse tremila”, scrive Mimmo qui sotto) compiuto fra il 16 e il 18 settembre del 1982 dai Falangisti libanesi con la complicità dell’esercito israeliano che circondava i due campi profughi palestinesi.
Il 16 settembre scorso è uscito sull’Avvenire, inserto Economia Civile, uno dei réportages realizzati in Mozambico dal vincitore della prima edizione del Premio Mimmo Càndito, sezione Progetti d’Inchiesta.
Uno sguardo approfondito nello scenario dell’attuale ricerca di nuove fonti energetiche, in sostituzione del gas russo. “Il Mozambico del Nord si prospetta come un’ennesima area di conflitti e sovrapposizione di interessi la cui vittima principale sarà ancora una volta la popolazione locale”, ci spiega il prof. Alessandro Triulzi.
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